«Secondo i dettami di Dio e della mia coscienza»

«Ieri, a Bolzano, è stato proclamato Beato Josef Mayr-Nusser, padre di famiglia ed esponente dell’Azione Cattolica, morto martire perché si rifiutò di aderire al nazismo per fedeltà al Vangelo. Per la sua grande levatura morale e spirituale egli costituisce un modello per i fedeli laici». 
Con queste parole, durante l’Angelus del 19 marzo, Papa Francesco ha ricordato la beatificazione di Josef Mayr-Nusser. Il vescovo di Bolzano, nei giorni scorsi, lo aveva definito “un personaggio scomodo”, aggiungendo subito dopo: «ci abbiamo messo tanto, come società e non solo come Chiesa a guardarlo in faccia».

Per conoscere meglio il profilo biografico del nuovo Beato, vi proponiamo un articolo del Postulatore Generale, p. Carlo Calloni, pubblicato nei giorni scorsi dall’Osservatore Romano.

Il rifiuto di giurare fedeltà a Hitler costò la vita a Josef Mayr-Nusser (1910-1945), laico, padre di famiglia, presidente dell’Azione cattolica dell’arcidiocesi di Trento e membro delle conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Per questo gesto venne condannato all’internamento nel lager di Dachau, ma a causa delle angherie subite morì martire prima di giungervi. Sabato mattina, 18 marzo, viene beatificato nel duomo di Bolzano, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in rappresentanza di Papa Francesco.

Da tutti chiamato Peppi, nacque il 27 dicembre 1910 nel maso della sua famiglia ai Piani di Bolzano. Il padre, Jakob, morì di colera nel settembre 1915, mentre era militare durante la prima guerra mondiale. Ottenuto il diploma di perito commerciale, il giovane Josef lavorò nel campo dell’amministrazione e poi come cassiere. Quest’ultima mansione gli fu affidata perché considerato dai datori di lavoro e dai colleghi uomo di onestà provata e di insuperata precisione. Nel 1931 prestò servizio militare presso la caserma di artiglieria alpina in Piemonte. Dopo l’addestramento nell’esercito italiano, fu congedato e ritornò al suo lavoro a Bolzano. Leggeva gli scritti di Romano Guardini sulla celebrazione della messa e si era dedicato allo studio di san Tommaso d’Aquino. Grande impressione avevano suscitato in lui le lettere di san Tommaso Moro. Accompagnava e nutriva questi interessi con una sempre più intensa spiritualità attraverso la preghiera, la partecipazione alla messa quotidiana e la vita liturgica, la lettura della parola di Dio, l’approfondimento del pensiero cristiano. Il suo carattere amabile, la profondità di pensiero e di vita spirituale furono le caratteristiche per cui nel 1934 fu eletto presidente dell’Azione cattolica della parte tedesca dell’arcidiocesi di Trento. Scelse come motto con cui indirizzava le sue lettere Christus vincit, Christus regnat!

Il vescovo di Trento, Celestino Endrici, scelse come assistente ecclesiastico dell’associazione il giovane sacerdote don Josef Ferrari, che ebbe una funzione importante nella formazione spirituale di Peppi insieme ad altri sacerdoti, tra i quali i fratelli Herbert e Hugo Nicolussi. Le riunioni dell’Azione cattolica avvenivano segretamente, perché non erano ben viste dal fascismo e dai nazisti, nella chiesetta di San Giovanni in Villa. Intanto, già dal 1932, il futuro beato era entrato a far parte anche della conferenza di San Vincenzo de’ Paoli di Bolzano, occupandosi di persone in difficoltà economica. Sapeva accostare gli anziani bisognosi con premura e delicatezza; aiutava le donne povere, impegnandosi in prima persona nella carità.

In quel periodo la tensione fra il gruppo linguistico italiano e quello tedesco andava sempre più crescendo sotto la spinta all’italianizzazione voluta da Mussolini. Il giovane Josef si adoperò per creare armonia e dialogo. Richiamato alle armi, prestò servizio in Sardegna dal 23 agosto al 14 dicembre 1939. Ma nel frattempo la situazione politica era andata complicandosi ulteriormente perché in quell’anno, dopo il cosiddetto accordo fra Hitler e Mussolini, fu imposta ai sudtirolesi una opzione: chi desiderava restare in Sudtirolo – Alto Adige doveva accettare la piena italianizzazione e chi non voleva rinunciare alla lingua e alla cultura tedesca doveva assumere la cittadinanza tedesca e trasferirsi in Germania.

In questo frangente Peppi conobbe Hildegard Straub, incontrata durante un pellegrinaggio a Pietralba. La giovane, che lavorava nella sua stessa ditta, per ben quattro volte rifiutò la proposta di matrimonio, perché aveva intenzione di entrare in convento, ma alla fine si decise a sposarlo. Il 26 maggio 1942 celebrarono il matrimonio e successivamente andarono a Roma, dove incontrarono molti rifugiati ebrei in attesa di fuggire in America. Entrambi decisero di restare in Italia. La preghiera fu il nutrimento dei due giovani, che si distinsero per la loro fede e la loro unione. Il 1° agosto 1943 nacque il loro figlio Albert.

L’8 settembre 1943 con la caduta di Mussolini e l’armistizio, la vita della coppia fu sconvolta. Per rinforzare le truppe furono richiamati forzatamente nell’esercito tedesco tutti gli uomini abili. Il 5 settembre 1944 Peppi fu arruolato nelle ss e condotto a Könitz, presso Danzica. Il 27 settembre in una lettera alla moglie incominciò a prepararla all’idea fatto che non desiderava giurare fedeltà al führer: «I miei superiori hanno mostrato troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici è sacro e irrinunciabile. Prega per me, Hildegard, affinché nell’ora della prova io agisca senza paura o esitazioni secondo i dettami di Dio e della mia coscienza».

Durante la prova generale del 4 ottobre 1944, dichiarò pubblicamente il suo rifiuto di giurare per motivi religiosi. Lo arrestarono e cercarono in tutti i modi di farlo ritrattare, ma perseverò sempre. Per questo venne condannato e destinato al campo di concentramento di Dachau, dove però non giunse mai. A causa dei maltrattamenti spirò infatti a Erlangen il 24 febbraio 1945.

(L’Osservatore Romano, 17-18 marzo 2017)