«A chi interessa…?»

Di seguito un’interessante riflessione del professor Luigino Bruni, pubblicata lo scorso 31 ottobre, a conclusione della 48ª Settimana Sociale dei cattolici italiani di Cagliari, sul quotidiano Avvenire.

A chi interessa ciò che il mondo cattolico vive, pensa, propone in ambito sociale ed economico? Dal silenzio imbarazzante dei media cosiddetti laici sui lavori e sulle proposte della 48ª Settimana Sociale dei cattolici italiani di Cagliari, si direbbe che interessi soltanto al mondo cattolico, ai suoi media, ai suoi giornali. E questa non è una bella notizia per l’Italia.

Quattro intensi giorni di dibattito, mille rappresentanti, proposte concrete per cambiare e migliorare il mondo del lavoro, l’economia e la società, che non hanno dunque meritato la dignità per entrare tra i fatti e i temi segnalati all’attenzione dell’opinione pubblica. Le ragioni di questa grave distrazione sono molte. Tra queste, forse, l’apparente semplicità delle (utili e realizzabili) proposte avanzate e l’assenza di proposte più “profetiche” (come quelle, specialmente care anche a chi scrive, sull’«economia disarmata»), sulle quali il consenso all’interno del variegato mondo cattolico sarebbe stato probabilmente più difficile. O, forse, anche una serie di ospiti che stavolta non ha incluso personalità del mondo culturale laico italiano e internazionale. Altre volte e in altre sedi questo tipo di dialogo si era intessuto con particolare intensità, ma la disattenzione non era stata minore. Forse, dunque, per tutto ciò ci sono anche ragioni più profonde.

La prima ha a che fare con il bizzarro concetto di laicità che si è affermato nel nostro Paese. Le contrapposizioni ideologiche del XIX e del XX secolo, hanno generato una cultura dove è sufficiente che in un discorso compaiano le parole “Dio” o “Bibbia”, perché vengano automaticamente classificate faccende private di un sotto-insieme del Paese, non abbastanza “laiche” per interessare tutti. Così, invece di intendere la vita democratica come la somma delle diversità civili, la si concepisce come una sottrazione per arrivare alla piccola zona comune fra tutti, che è sempre troppo piccola per la pubblica felicità che ha bisogno della «convivialità delle differenze» (Don Tonino Bello). La società perde biodiversità generativa, perché si eliminano le dimensioni più innovative e creative dei diversi mondi vitali.

Ma se poi andiamo a scavare di più, troviamo qualcosa di ancora più puntuale. Ai cattolici, in realtà, si lascia un certo spazio e una certa libertà di esprimersi “in pubblico”, ma soltanto su temi inseriti in una lista chiusa di argomenti “eticamente sensibili”. Se si esce da questa lista, anche se la Chiesa e i cattolici parlano è come se non parlassero: non hanno “voce” in questi capitoli. Possono parlare di povertà, di vita (senza esagerare), un po’ di famiglia. Ma se iniziano a parlare di lavoro, di tasse, di scuola, addirittura di economia o di finanza, escono dalla lista bloccata e semplicemente vengono ignorati. Quindi, quando i cattolici si esprimono sui temi laicamente consentiti dalla lista si è legittimati, ma non ascoltati, perché considerati espressione di una visione culturale partigiana. Quando dicono la loro sui temi fuori lista, sono semplicemente bocciati perché fuori tema. Un segnale di questo è che tra le pochissime notizie di Cagliari che sono riuscite a passare tra le maglie di questa censura culturale, non sono le proposte concrete su economia e banche, ma il tema del lavoro domenicale, uno di quei pochissimi argomenti “economici” presenti nella lista degli argomenti non all’Indice, perché, si pensa, ha a che fare con il culto – e quindi non preso sul serio, non capendo così che la sfida della domenica è esattamente la libertà dai “faraoni” che vorrebbero che gli schiavi lavorassero sempre, e quindi l’essenza della democrazia.

Il mondo cattolico è tra le poche “agenzie globali” capaci, per vocazione, di portare avanti un discorso profetico sull’economia, sul lavoro, sulla finanza – e lo sta facendo, anche se pochi se ne accorgono, e le deve fare con sempre maggiore forza e profezia.

Ma la laicità delle lobby preferisce lasciarlo parlare ‘soltanto’ di fine vita e di assistenza – senza ascoltarlo –, e così tenerlo ben distante dall’economia e dalla finanza. Perché intuisce che se gli riconoscesse diritto di parola su questi temi, dovrebbe fare i conti con i dogmi della sua propria laica religione. La nostra società non ascolta la voce dei cristiani sul capitalismo perché il capitalismo del XXI secolo è diventato esso stesso una religione, con un culto severissimo che non ammette altri dèi al di fuori di esso. Il capitalismo non vuole il discorso religioso cristiano perché ha già il suo. Ma per capirlo ci vorrebbe proprio quella laicità che gli manca. Per questo, nonostante la disattenzione di media che vedono sempre più a stento e sempre più parzialmente il Paese reale, i cattolici devono continuare a occuparsi dei temi della lista e, soprattutto, di quelli fuori lista. Perché, con le parole di Paolo VI, «se il mondo si sente straniero al cristianesimo, il cristianesimo non si sente straniero al mondo».