Il posto della comunicazione

Il caso Cambridge Analytica scoppiato qualche mese fa ha riproposto con urgenza alcune domande: come e quanto i big data influiscono sulla nostra vita? Quanto gli algoritmi indirizzano le nostre scelte e quanto pesano sul nostro senso critico e sulla nostra libertà di azione? Ne parliamo con Ana Cristina Montoya, docente di Comunicazione sociale e politica a Sophia, con un dottorato di ricerca premiato dalla Pontificia Università Salesiana, che ha da poco presentato una relazione su tali temi anche al XI Congresso Internazionale “Cattolici e persona umana: opportunità e minacce” a Torun, in Polonia.

Come interagiscono persone e società?
Ci addentriamo in una ricerca tipicamente interdisciplinare, dove gli studi in ambito comunicativo suggeriscono a mio parere un punto nodale: non si può parlare della società come qualcosa che sta ‘fuori’ dalla vita delle persone. Il rischio, altrimenti, è quello di intendere gli esseri umani come semplici tasselli di un ingranaggio che ci sovrasta. Spesso non ne siamo consapevoli, ma tale prospettiva concorre giorno per giorno a consolidare la società delle macchine e dei sistemi.
Anche se, nel tempo della rete, la società è una realtà talmente cangiante che spesso sfugge alla nostra comprensione e diventa “un fenomeno emergente” – direbbe il sociologo Donati – la fondamentale tessitura sociale sono le relazioni. E poiché la comunicazione è costitutiva di ogni relazione, la prima sfida è uscire dagli schemi chiusi, spesso più rassicuranti, che affollano le nostre discipline, per approfondire la centralità della dimensione comunicativa, che è molto più che mera diffusione di messaggi o moltiplicazione di contatti. Ogni società ha un cuore comunicativo, sta a noi leggerne le pulsazioni, orientarne le potenzialità, perché si sviluppi come un luogo di relazioni positive, pienamente umane. Tutto questo ci dice che i luoghi che abitiamo non possono essere studiati come un sistema astratto, in cui gli uomini e le donne si muovono da spettatori: siamo attori e protagonisti della nostra storia.

Il quadro che emerge evidenzia un agire libero, ma non possiamo ignorare che la comunicazione pone anche vincoli.
Imparare a riconoscere tali vincoli è importante! Ma per saperli affrontare e integrare in una cornice di relazioni comunicative mature, personali e collettive. A mio parere gli scenari sono quattro in particolare: superare la sottomissione tecnica che subiamo quando ci lasciamo formattare, per così dire, dalla tecnologia, oscurando la nostra singolarità e unicità; superare il riduzionismo del linguaggio: la “neolingua” che i nuovi media e la globalizzazione vanno diffondendo sempre più, non inventa parole, ma le riduce al massimo e la riflessione accumulata nei secoli svanisce; superare l’assimilazione tra self e persona per liberarci dei ‘profili’ disegnati, editati dalla comunicazione, che rispondono a stereotipi e ruoli, di peso simbolico, che nascondono il nostro vero sé; e infine superare l’assimilazione tra interazioni e relazioni, quando la persona schiacciata dall’industria culturale sostituisce le relazioni con interazioni fugaci, spesso ridotte a scambi sterili e strumentali.

Anche la comunicazione, dunque, fa appello a fondamenti antropologici…
Sì, guardare al futuro ci spinge a rifondare la ricerca su una ontologia più ricca: se la rivoluzione tecnologica sta scombinando i nostri scenari, possiamo e dobbiamo ancorare il nostro sguardo al significato radicale di persona. Quando l’individuo frammentato, abitato da una relazione che è fondante, riesce ad uscire da sé verso l’altro, quando riesce ad ascoltare tra i tanti messaggi e voci che gli arrivano o che vivono dentro di lui quella voce sottile che lo porta verso l’incontro, si chiarisce il significato e la portata antropologica del suo essere persona. Occorrono dunque processi di comunicazione capaci di farsi luogo di tale esperienza: di ascolto attivo, di fiducia, di spontaneità, di parresía, di un dinamismo che amplifica nelle persone la riflessività, antidoto al riduzionismo.
Per quanto possa essere pervasivo e dilagante il processo di semplificazione operato dalla tecnica, resta inviolabile al centro di ogni persona il suo carattere umano, il ‘mistero’ di cui ciascuno è portatore. Comunicare costruisce la nostra identità mentre dà vita all’altro, e questo fonda le relazioni di cui è fatta la società.

 

Post tratto da www.sophiauniversity.org