L’egoismo non paga

Vi proponiamo un approfondimento in tema di Œconomicæ et pecuniariæ quæstiones, a cura del teologo Pierangelo Sequeri, preside dell’Istituto Giovanni Paolo II di Studi sulla Famiglia e Membro della Commissione Teologica Internazionale, pubblicato nei giorni scorsi da L’Osservatore Romano.

L’ordine etico di una giustizia della vita umana, che è più che politica e più che economica, anche se inclusiva di questi ambiti fondamentali della sua attuazione, esiste. Questo ordine è anche sovra-nazionale e sovra-confessionale. Possiamo dunque lavorare al suo riconoscimento e sviluppare la sua tutela «nella certezza che in tutte le culture ci sono molteplici convergenze etiche, espressione di una comune sapienza morale (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 59), sul cui ordine oggettivo si fonda la dignità della persona […] senza di esso, l’arbitrio e l’abuso del più forte finiscono per dominare sulla scena umana.

Questo ordine etico, radicato nella sapienza di Dio Creatore, è dunque l’indispensabile fondamento per edificare una degna comunità degli uomini regolata da leggi improntate a reale giustizia». Il recente documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones inaugura la sua esposizione con la limpida dichiarazione di questa convinzione e fiducia (n. 3). L’intero spazio dell’agire umano, precisa opportunamente il documento, «può legittimamente reclamare di essere estraneo, o di rimanere impermeabile, a un’etica fondata sulla libertà, sulla verità, sulla giustizia e sulla solidarietà»: la mancata correlazione di ciascuno di questi elementi con tutti gli altri, infatti, compromette l’umanesimo della stessa forma civile.

Con questa formula è definita, in modo particolarmente felice e originale, la “quadratura” degli elementi che consentono di riconoscere concretamente il radicamento “naturale” dell’ordine politico nell’ordine etico: e al tempo stesso, la concreta immanenza storica di quest’ultimo nella costituzione del primo. Questo radicamento resiste alle nostre manipolazioni della verità, come anche alla nostra indifferenza per la giustizia, che corrompono — politicamente ed economicamente — i diritti della libertà, stravolgendo i legami affettivi e solidali dei singoli e dei popoli. Possiamo ricordare, ancora una volta, la provocatoria formula di Agostino: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grosse bande di ladri?» (De civitate Dei, iv, significativamente citato da Benedetto XVI nel discorso al parlamento tedesco del 22 settembre 2011).

L’integrazione della promozione umana con la missione evangelizzatrice della Chiesa è la motivazione di fondo che ispira e giustifica il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, opportunamente proposto dall’iniziativa congiunta della Congregazione per la dottrina della fede e del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e autorevolmente approvato da Papa Francesco. La doppia firma della sua redazione, del resto, è già in se stessa l’icona istituzionale, non consueta, di tale legame. L’incisività di questo testo scava il solco destinato a ospitare il buon seme evangelico nel terreno già vigorosamente dissodato dal magistero recente, nella scia del vigoroso aggiornamento della dottrina sociale della Chiesa al quale il concilio Vaticano II ha aperto un nuovo orizzonte di contemporaneità. «La promozione integrale di ciascuna persona, di ogni comunità umana e di tutti gli uomini, è l’orizzonte ultimo di quel bene comune che la Chiesa si propone di realizzare quale “sacramento universale di salvezza” (Lumen gentium, 48) […] Tale bene fiorisce come anticipo di quel regno di Dio che la Chiesa è chiamata ad annunciare e instaurare in ogni ambito dell’umana intrapresa; ed è frutto peculiare di quella carità che, come via maestra dell’azione ecclesiale, è chiamata a esprimersi anche in amore sociale, civile e politico» (Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, 2). La speciale concentrazione del testo sull’ordine economico della vita storica è rigorosamente in linea con il particolare accento che il magistero di Papa Francesco ha posto, nell’enciclica Laudato si’, ma in generale nell’assiduità del suo insegnamento e delle sue sollecitazioni, sul carattere strategico dell’incidenza che l’ordine economico ormai esercita — nel bene e nel male — sulla visione dell’umano tout court.

La necessità di concentrare l’attenzione sull’ordine economico della nostra epoca non corrisponde semplicemente al riconosciuto carattere egemonico di questa sfera dell’attività umana nei confronti della vita individuale e collettiva. Essa è sollecitata da una contraddizione che ormai, non soltanto la scienza degli esperti, ma anche la coscienza dei popoli, registrano con stupefatta — e drammatica — evidenza. Per dirla con il linguaggio del senso più comune, la domanda è questa: com’è accaduto che uno strumento che si era raccomandato con la promessa di lavorare per noi, lavora così tanto per se stesso: e anzi, contro di noi? E questo stravolgimento è iscritto nella costruzione dello strumento stesso (il mercato, il profitto, la finanza) o nella corruzione del suo esercizio? Non è semplice rispondere in modo concreto a questa doppia domanda, perché l’intreccio sistemico dello strumento economico e dei suoi usi perversi si è fatto così complesso e sofisticato da chiedere un discernimento analitico ed etico molto profondo e articolato. E d’altra parte, le evidenze che l’egemonia dell’attuale sistema economico impone alla coscienza globale sono inconfutabili. La percezione degli effetti di questo assoggettamento, che erode progressivamente la sfera delle qualità e delle relazioni umane fondamentali, genera impoverimento e avvilimento di interi popoli, induce anche una deplorevole insensibilità per la dignità e la sopravvivenza delle enormi masse degli esclusi dai suoi benefici. Il danno di un ordine economico poroso (se non addirittura sistematicamente disponibile) all’elusione del doveroso riferimento all’ordine etico della solidarietà umana, apre varchi spesso invisibili per la corruzione a-morale del sistema. Le dimensioni pervasive e capillari di questo stravolgimento dello strumento economico possono ben essere indicate come il sintomo di un mutamento dell’ecologia umana ormai insediato nella storia. La sfida posta dalla necessità di restituire lo strumento economico al servizio efficace della qualità integrale della vita umana — nell’intenzione, di tutto l’uomo, di tutti gli uomini — non è dunque una semplice congiuntura di moralità pubblica. Più profondamente, è una questione di ripensamento e di innovazione del sistema, che prenda la forza di una vera e propria conversione antropologica, capace di mettere mano (e mente e cuore) alla riformulazione della giustizia politica della sfera economica.

Per esemplificare la portata “storica” di questo rinnovamento potremmo compararlo al tema dell’avvento della democrazia, che infine si è imposto, nella nostra cultura, come decisivo superamento dell’ancien régime della politica. Oggi infatti, con tutta evidenza, il problema epocale è quello del superamento di una egemonia dell’ordine economico che confligge, a dispetto della sua retorica liberale, con i principi dell’umanesimo democratico. La contraddizione che si è incistata nel sistema indebolisce visibilmente l’umanesimo della giustizia e della solidarietà collettiva, produce disuguaglianza ed emarginazione crescente, minaccia seriamente la libertà dei singoli e la pace fra i popoli. Il testo di Oeconomicae et pecuniariae quaestiones non è affatto reticente sul carattere imponente di questa sfida, che sollecita la politica a una ripresa di iniziativa decisamente più vigorosa di quella che sembra in grado di esprimere nella presente congiuntura. Non è possibile, naturalmente, in questa sede, esplicitare la ricchezza di questa articolazione, che espone i suoi argomenti con giusto equilibrio di linguaggio fra l’indispensabile riferimento alla specificità dei temi economici e l’amichevole discorsività di una narrazione complessivamente accessibile ai non specialisti. Mi limito a segnalare l’incisività di alcuni presupposti metodologici, che devono ispirare e sostenere al tempo stesso il dialogo amichevole e il confronto serrato che definiscono il campo di lavoro di una più rigorosa riabilitazione antropologica ed etica dell’ordine economico. Ricorderei in primo luogo il superamento dell’equivoco di una presunta extra-territorialità etica dell’economia, in quanto scienza dell’umano, che non corrisponde al suo oggetto reale (n. 9). Il testo tiene coerentemente in evidenza, nei singoli punti di merito, l’equilibrio di questa integrazione. Non senza qualche giusto puntiglio dialettico: come quando invita a prendere atto del difetto di competenza tecnica — oltre che di sensibilità sociale — con cui l’economia e la politica hanno fronteggiato la recente crisi finanziaria. Nel suo complesso, infatti, la reazione non ha portato «a ripensare quei criteri obsoleti che continuano a governare il mondo» (Laudato si’, 189). Fra questi criteri obsoleti deve certamente essere annoverata l’intrinseca capacità auto-regolativa del mercato, che è fuori dalla realtà (Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, n. 13). In secondo luogo, è vigorosamente affermato il principio che eleva la considerazione degli emarginati, degli esclusi, degli scartati al rango di criterio metodologico fondamentale per la verifica della qualità del sistema (nn. 5-6). L’opzione preferenziale per i poveri, che qualifica lo sguardo cristiano, trova qui un punto di riferimento realistico e non retorico.

Il testo offre un concreto apporto argomentativo ed esemplificativo per l’applicazione di questi criteri, globalmente ispirato dalla convinzione che le potenzialità del moderno dispositivo economico — compresi gli sviluppi del mercato e della finanza — possono e devono ricondurlo alla sua costitutiva strumentalità. Nell’interesse di tutti. «È giunta l’ora di dar seguito a una ripresa di ciò che è autenticamente umano […] senza di cui ogni sistema sociale, politico ed economico è destinato alla lunga al fallimento e all’implosione. È sempre più chiaro infatti che l’egoismo alla fine non paga e fa pagare a tutti un prezzo troppo alto; perciò, se vogliamo il bene reale per gli uomini, “il denaro deve servire e non governare”» (n. 6).

(da L’Osservatore Romano, 12-13 giugno 2018)