«Uomini di buona fede»

Intervento del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, al convegno: «A 70 anni dalle elezioni del 1948. Riunire storia e futuro nei valori degasperiani: Europa, atlantismo, giustizia sociale», organizzato dalla Fondazione De Gasperi, a Roma, il 18 aprile 2018.

 

Carissimi amici e amiche,

al di là di ogni retorica, sono veramente poche le occasioni in cui si riesce a coniugare «storia e futuro» in un unico evento. In questo convegno, invece, come avete ben sottolineato nel titolo, si fa giustamente riferimento a un passato e ad un futuro del Paese che possono essere riuniti simbolicamente «nei valori degasperiani». Alcide De Gasperi, infatti, non è stato soltanto un «politico di professione» che ha governato il Paese circa 70 anni fa, ma ha rappresentato una delle espressioni più alte di un popolo e di un gruppo dirigente – cristiano, democratico ed italiano – che ha ricostruito l’Italia dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale e ha tracciato la strada maestra per gli anni futuri, addirittura fino ai giorni nostri.

Per chi, come il sottoscritto, è cresciuto nella Firenze di La Pira e si è abbeverato dell’umanesimo fiorentino, formandosi in quell’eccezionale impasto di spiritualità e socialità – il pane e la grazia – che per decenni la città dei Medici è stata testimone nel mondo, parlare oggi di Alcide De Gasperi assume un significato molto importante. Penso, infatti, che le diverse sensibilità spirituali, culturali e politiche che hanno caratterizzato il mondo cattolico in questi 70 anni di storia repubblicana, necessitino di essere lette sotto una nuova luce e con un nuovo angolo visuale. Le differenti vedute che animarono il dibattito tra i «professorini» della DC, la leadership politica degasperiana e quella ecclesiastica montiniana, così come le differenti prospettive politiche dei cattolici durante la Seconda repubblica, esigono oggi un autorevole approfondimento culturale e soprattutto una nuova riflessione pubblica.

Ed in questa dinamica di approfondimento culturale e di riflessione pubblica, sono assolutamente convinto che la figura di De Gasperi occupi un posto rilevantissimo. Un posto di rilievo su cui è ancora opportuno riflettere. Non solo dal punto di vista storico – ambito nel quale è stato prodotto molto nell’ultimo decennio, anche per merito della Fondazione De Gasperi – ma soprattutto in un’ottica di piena consapevolezza pubblica della sua figura. Una figura che, infatti, si caratterizza per essere, ancora oggi, un modello esemplare di impegno sociale sia per il credente impegnato in politica, che per ogni persona di buona volontà che abbia veramente a cuore il bene comune del Paese.

A mio avviso, De Gasperi è stato indubbiamente un vero italiano, un autentico cristiano e uno straordinario statista, tra i più importanti – se non il più importante – dell’Italia unita. Queste tre dimensioni, tutte fortemente intrecciate tra loro, hanno però un’unica sorgente: la cifra spirituale e culturale della sua caratura umana.

La spiritualità

La dimensione spirituale rappresenta infatti il punto di partenza, doveroso, per ogni riflessione sulla sua personalità. Come ha giustamente sottolineato giustamente Maria Romana De Gasperi, la spiritualità e la politica non furono due aspetti divergenti ma, all’opposto, «due angoli visuali diversi e complementari» che delineavano la sua complessa e ricchissima figura. La ricerca di Dio, l’anelito verso il trascendente, le domande ultime sul senso della vita, così come l’amore verso Francesca – testimoniato in moltissimi documenti – fanno parte di un’unica cornice umana, da cui non si può scindere la teoria e la prassi, l’assunzione di responsabilità verso il Paese e la faticosa esperienza di governo. Come infatti ha scritto l’ex direttore de L’Osservatore romano Giuseppe Dalla Torre nelle sue memorie, De Gasperi visse in una sorta «di doppia solitudine»: quella «di lui, cattolico che si elevava verso quel Dio al quale chiedeva tranquillità e abbandono», e quella «di lui, politico» che si prodigava nel perseguire «fin che era possibile, la giustizia e la carità tra gli uomini». La fede era dunque riposta in Dio, la politica era invece una missione laica. L’una ispirava l’altra con passione, inquietudine e soprattutto senza compromessi.

Tra le tante testimonianze di fede che si possono rintracciare nella vita pubblica e privata di De Gasperi vorrei mettere in evidenza alcuni stupendi documenti che risalgono a due momenti molto diversi della sua vita: il primo momento, quello più duro, tra il 1927 e il 1928 quando fu una vittima innocente della persecuzione del regime fascista che lo condusse addirittura nel carcere di Regina Coeli; il secondo momento, dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando si trovò a guidare l’Italia nel momento più duro per il Paese: quella della ricostruzione dopo la sconfitta e la devastazione della guerra.

Nel 1927, quando ormai il fascismo è diventato un regime dittatoriale che ha compresso ogni libertà, De Gasperi redige una lettera all’amico trentino Giovanni Ciccolini in cui scrive:

No, non sono un martire, ma forse posso concederti d’essere un confessore delle nostre idee. (…) Non chiudo nel petto un animo d’eroe né mi illumina la luce interiore di un santo; tuttavia lodato sia il Signore il quale mi fa comprendere come fosse giusto che nella disgrazia di tutti, io che ero nei primi posti, per un equo compenso, debba ora trascinarmi sulla via più lacero e più malconcio degli altri. Non c’è nessun merito ad essere i primi, quando si marcia sotto un sole trionfante. C’è forse qualche merito nel trascinarsi avanti nel fango della via, dopo la rotta.

Si intravedono in queste parole il dolore dell’uomo, l’umiltà del peccatore e la sapienza di Giobbe. Una miscela di sentimenti e di riflessioni che trovano una chiave di volta solo nella lode di Dio. Sembra quasi di sentire il salmista quando canta “il Signore è il mio pastore (…) Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome”. De Gasperi si trova a vivere nella dolorosa e umiliante condizione di chi, non solo ha perso la battaglia politica, ma ha anche perso la libertà, le amicizie e gli affetti. Nonostante tutto, però, continua ad affidarsi al Signore e cerca ancora di rintracciare dei segni di speranza lungo questa strada segnata dalla sconfitta.

Non casualmente in un’altra lettera, scritta sempre nel 1927 all’amico Ciccolini, si chiede: «Quando sarà? Nel libro della Provvidenza è forse tutta scritta la pagina della nostra generazione?». È una «dura fatica» per De Gasperi accettare l’esito funesto dell’umiliazione politica, ma ha ancora la forza di affermare con vigore che, nonostante i tanti tradimenti umani, le violenze subite e l’ipocrisia dilagante «il cristianesimo applicato alla vita pubblica vuol dire lealtà, franchezza, coraggio, sacrificio». È evidente, in queste due lettere all’amico Ciccolini, il combattimento interiore dell’uomo De Gasperi che, drammaticamente, non può sapere che la strada della persecuzione e della sua marginalizzazione umana e politica è ancora molto lunga.

Nell’agosto del 1927, inoltre, mentre si trova alla clinica Ciancarelli di Roma, scrive alla moglie Francesca una delle lettere più note e più citate del suo epistolario. In quella missiva chiarisce stupendamente la sua visione della politica – una «missione» e non un’effimera ricerca del potere – e soprattutto la sorgente spirituale di questa «missione» da cui tutto discende e prende forma. Scrive De Gasperi:

Ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione, come dilettanti, ed altri che la considerano, e tale è per loro, come un accessorio di secondarissima importanza. Ma per me, fin da ragazzo è stata la mia missione. (…) Rimanendo fedele alla mia stella, dovevo percorrere quella fino in fondo. Vi sono gli uomini di preda, gli uomini del piacere, gli uomini di buona fede. Anche tu, vero, mi vuoi bene, perché sono fra questi ultimi. E allora Dio mi abbandonerà? Addio miei cari, dormite in pace nelle case romite. Io sono presente!

Parole magnifiche ed eloquenti che riprenderò alla fine del mio intervento. Mi permetto di soffermarmi, adesso, su quella domanda che si pone De Gasperi: «Dio mi abbandonerà?». La politica è senza dubbio il campo della sua missione, ma la stella da cui tutto discende non si trova su questo mondo. La risposta a questo interrogativo impellente, la troviamo in una successiva lettera alla moglie, del 18 giugno 1928, in cui si può apprezzare pienamente la sua dimensione spirituale. In uno dei momenti più duri della sua esistenza, quando la rabbia e l’orgoglio avrebbero potuto prendere il sopravvento su ogni altra espressione dell’animo umano, si assiste invece ad un’ancora più intima e profonda conversione del cuore. Scrive De Gasperi:

Dapprincipio il centro ero io e tutto il resto si trovava sulla circonferenza: Dio, la famiglia, gli amici. Poi, lentamente, faticosamente, gemendo e sospirando sotto la pressura dell’esperienza, il centro si spostò: al centro stava ora Dio ed io mi trovavo sulla periferia, col resto del mondo; un pulviscolo in un vortice inesplorabile. Mi provai allora a spiegare gli avvenimenti dal Suo punto di vista.

Queste stupende parole di De Gasperi, in cui sembrano riecheggiare persino dei termini straordinariamente in sintonia con il pontificato di Francesco, sono il compimento di un autentico cammino di conversione. Non l’odio, non il rancore e non la vendetta trovano spazio nel cuore di una persona che – è bene ricordarlo – aveva pagato la sua libertà di pensiero con la galera e l’emarginazione: ma la centralità di Dio nella sua vita.

De Gasperi con queste parole testimonia quello che significa la libertà per un cristiano. Egli è infatti autenticamente una persona libera. Così libera che pur essendo incarcerato, perseguitato e ridotto ad una nullità politica da un regime violento e illiberale, non solo rimane fedele alle sue idee, ma riesce addirittura a riscoprire la fede in una dimensione ancor più matura e intima.

«Al centro stava ora Dio – scrive De Gasperi – ed io mi trovavo sulla periferia» come «un pulviscolo in un vortice inesplorabile». Parole magnifiche che assumono un significato profondo per la difficilissima situazione di vita in cui si trova: sconfitto, umiliato e isolato, si trova a camminare lungo un sentiero strettissimo e scosceso. Eppure riesce a vincere la paura e la solitudine umana riscoprendo quella fede che gli fornisce una spiegazione alle sue sofferenze e agli avvenimenti drammatici che sta vivendo.

Questa intima dimensione spirituale che lo accompagna da sempre, ma che riscopre durante le persecuzioni della dittatura fascista non lo abbandonerà più. Sarà una costante della sua vita, che tornerà ad essere presente e visibile anche nei momenti pubblici più importanti. Pur senza farsene vanto e senza venature ipocrite, De Gasperi testimonierà la sua fede senza tentennamenti e con grande umiltà.

Per esempio nel discorso che tenne al I Congresso del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana nel 1945. In quell’occasione, dopo aver condannato i metodi «della forza» e «dell’intrigo» che da sempre inquinavano la vita politica, disse:

Quel poco di intelligenza che ho la metto al servizio della verità la quale si trova sepolta molte volte sotto strati difficilmente penetrabili, ma esiste. Io mi sento un cercatore, un uomo che va a scovare e cercare filoni della verità della quale abbiamo bisogno come dell’acqua sorgente e viva delle fonti. Non voglio essere altro.

«Io mi sento un cercatore (…) al servizio della verità (…). Non voglio essere altro». Parole che certificano una caratura morale di indiscutibile livello e che esprimono, ancora una volta, il senso profondo della sua «missione»: essere al servizio del Paese senza chiedere nulla per se stesso. A questo proposito, è doveroso citare una delle più efficaci sintesi della personalità di De Gasperi, scritta da un osservatore d’eccezione: don Luigi Sturzo. All’indomani dello storico viaggio negli Stati Uniti nel 1947, il prete di Caltagirone tratteggia una sintetica ma efficace descrizione del politico di Pieve Tesino. Scrive Sturzo:

Persona diritta, integra, senza posa, condotta rettilinea, bontà, austera complessità umana; egli, in momenti di smarrimento e di ansia, ha rappresentato la nuova Italia con le sue speranze. Quale l’avvenire dell’Italia? Hanno domandato politici ed economisti. De Gasperi non è profeta; le sue risposte sono state caute e misurate, ma la sua persona diceva più che le sue parole, perché assicurava quegli uomini di affari che l’Italia ha un leader e uno statista di senno e di equilibrio tali da poter superare crisi difficili ed evitare avventure pericolose.

In queste poche righe, don Sturzo ha sintetizzato alcuni tratti salienti della personalità degasperiana: il lato umano e spirituale di una persona «integra» e buona, assieme a quello più squisitamente politico di un «leader» e di uno «statista» che può «evitare avventure pericolose» all’Italia. Ritornano, dunque, quasi alla conclusione di questo mio intervento quelle tre caratteristiche salienti che avevo detto all’inizio della mia riflessione. Quando avevo definito De Gasperi come «un vero italiano, un autentico cristiano e uno straordinario statista, tra i più importanti – se non il più importante – dell’Italia unita».

L’eredità

La grande questione che oggi si pone dinanzi ai nostri occhi non è solo il riconoscimento degli indubbi meriti storici di De Gasperi, quanto la questione cruciale della sua eredità nel mondo attuale. Io ritengo che si tratti di un’eredità estremamente preziosa per l’Italia e l’Europa attuale. Così preziosa che necessita ancora di essere pienamente sviluppata. Mi permetto di evidenziare due suggestioni.

La prima riguarda l’identità nazionale. Ho definito De Gasperi come un «autentico italiano» e l’ho fatto perché sono ben consapevole della sua origine di «uomo di confine» e delle accuse ingiuste (di essere un austriacante) che gli sono state spesso rivolte. Egli è stato suddito dell’Impero Asburgico, parte integrante di una minoranza nazionale e ha saputo lottare per l’autonomia italiana. Ha poi conosciuto il carcere e la persecuzione del regime fascista che in nome di una visione autoritaria della nazione ha incarcerato altri italiani. E infine, nell’ultima parte della sua vita, è stato il leader di un gruppo dirigente che ha ricostruito l’Italia e che si è battuto con convinzione per costruire un’Europa unita e in pace. Da questo punto di vista, dunque, l’esperienza di De Gasperi ci viene a ricordare alcuni concetti preziosi per declinare l’identità nazionale: solidarietà, responsabilità, libertà ed Europa.

Il quadro concettuale su cui si muove De Gasperi è dunque straordinariamente attuale. Proprio oggi quando stanno sorgendo venti di guerra in Medio Oriente, quando il Mediterraneo è al centro di un conflitto silenzioso sui migranti, quando tante piccole Italie emergono nel dibattito pubblico e quando il processo europeo viene messo in discussione da troppe pulsioni particolaristiche e di chiusura verso l’esterno, ecco, in questo contesto, il messaggio di De Gasperi sull’Italia e sull’Europa è straordinariamente importante: un’Italia libera e responsabile in una nuova Europa più solidale.

La seconda suggestione riguarda la vocazione politica. Che per De Gasperi è indiscutibilmente segnata dal rapporto tra la dimensione spirituale e la dimensione politica. Un rapporto cruciale nella sua biografia. E tuttavia un rapporto laico. Senza cedere a tentazioni integriste, senza ricorrere a scorciatoie propagandistiche e senza mai strumentalizzare i simboli religiosi come amuleti identitari. De Gasperi ha il totale rispetto per la dimensione del sacro e trae la sua vocazione politica da un’ispirazione spirituale che combina insieme l’esigenza di giustizia sociale con quella di carità. De Gasperi fa politica come «una missione» e con una sobrietà di cui oggi si sente una grande, grandissima, necessità in Italia, in Europa e in tutto il mondo occidentale.

Mai come oggi si avverte l’esigenza di questo slancio missionario, di questa carità politica, di questo autentico anelito verso il bene comune che è la condizione più importante affinché un semplice politico diventi poi un vero statista al servizio della propria comunità. L’Europa e l’Italia hanno urgente bisogno di un nuovo patto sociale tra tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà che hanno il coraggio, la passione, il talento e il desiderio autentico di costruire nuovi percorsi di impegno sociale e politico per il futuro del Paese e del Continente. L’ho detto più volte e lo ripeto ancora oggi: c’è un’Italia da ricucire per superare le divisioni ideologiche e territoriali; e per trovare una cura alle ingiustizie sociali verso i giovani, i disoccupati e le famiglie.

Cari amici e care amiche, e mi avvio alla conclusione, c’è un cammino ancora tutto da percorrere e una storia ancora tutta da scrivere. Anche se a volte abbiamo la sensazione di camminare in una valle oscura, non bisogna mai perdere la speranza. Ciò che è più importante, come scrisse De Gasperi, è che tutti gli «uomini di buona fede» distinguendosi da «gli uomini di preda» e da «gli uomini del piacere» si incamminino verso il futuro rimanendo fedeli «alla propria stella». Una stella il cui fulcro è contrassegnato, indiscutibilmente, dal valore incalpestabile della dignità umana, che va difeso sempre in ogni momento della vita.