I gesuiti de “La Civiltà Cattolica” e la politica italiana nel dopoguerra

Abbiamo ricevuto e vi proponiamo il testo dell’intervento del Prof. Stefano Ceccanti, tenuto nel corso della presentazione del n. 4000 de La Civiltà Cattolica, avvenuta lo scorso 5 maggio presso la Sala della Baleari di Palazzo Gambacorti. Oltre a Ceccanti, insieme al Direttore della rivista, P. Antonio Spadaro, sono intervenuti il nostro Arcivescovo ed il Sindaco di Pisa, Marco Filippeschi.

Premettiamo, al testo di Ceccanti, l’abstract dell’articolo di P. Francesco Occhetta (come riportato in www.laciviltacattolica.it) da cui il professore ha tratto spunto per il suo intervento:

L’influsso de La Civiltà Cattolica sulla vita politica italiana dal Dopoguerra ad oggi va oltre gli articoli: sono il volto e l’incidenza dei suoi scrittori — a volte su posizioni diverse tra loro, altre volte considerati e altre volte criticati, ma quasi mai ignorati — a costituirne l’identità nel tempo.

Emblematiche, ad esempio, le vicende degli anni del secondo dopoguerra. La rivista è pienamente coinvolta prima nel dibattito per il referendum sulla Repubblica e poi in quello sulla Costituzione. Per La Civiltà Cattolica di allora una Repubblica generata dai partiti non poteva che diventarne ostaggio; per questo, all’inizio del 1946, la Democrazia cristiana (Dc) è accettata dal Collegio degli scrittori solo come il «male minore» per governare il Paese e rappresentare gli interessi della Chiesa, in particolare i rapporti con lo Stato sanciti dai Patti Lateranensi del 1929. Si ricorda a questo proposito il «pro-memoria» elaborato dagli scrittori della rivista sulle concessioni possibili che la Santa Sede avrebbe dovuto presentare al progetto di Costituzione dell’on. Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75.

Dopo l’approvazione del testo della Costituzione — promosso dalla rivista, ma non lodato — tra gli scrittori prevale la linea di sostegno alla Dc. È l’inizio della stagione dell’unità politica dei cattolici italiani. Nel frattempo anche nel Collegio degli scrittori si avverte il vento del Concilio: la rivista vira di 180 gradi. Nel primo post-Concilio, infatti, di fronte alla crisi dei valori, delle ideologie e dei partiti ideologici, la preoccupazione principale de La Civiltà Cattolica sul piano sociale e politico è quella di contribuire al rinnovamento della presenza sociale, culturale e politica dei cattolici in Italia.

Intanto, avanza il processo di secolarizzazione della società italiana, i fedeli diventano minoranza nel Paese e la loro forza politica si indebolisce, fino alla frammentazione dell’elettorato democristiano dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, e l’inizio di Tangentopoli. Con molto anticipo la rivista aveva denunciato la corruzione della classe politica, proposto una riforma dei partiti e previsto la perdita degli ideali della Dc.

Arriviamo così ai nostri giorni, in cui la rivista affronta la politica non tanto dal punto di vista degli schieramenti, ma analizzando i temi delle riforme politiche, sociali e istituzionali e orientando le soluzioni all’antropologia cristiana.

Di seguito il testo del contributo di Stefano Ceccanti che, lo ricordiamo, è ordinario di diritto pubblico comparato presso l’Università La Sapienza di Roma:

Premessa: cosa commentiamo

Siamo chiamati a commentare un testo, il numero 4000: in modo più circoscritto, per ragioni di competenza, mi limiterò a commentare il testo di Padre Occhetta sui rapporti chiesa-politica.

Tuttavia questo testo esige prima che si renda conto del pre-testo e del con-testo.

Pre-testo: il rapporto decisivo con questa rivista sin dal biennio finale del pontificato montinano

Questa è una delle tre riviste che hanno maggiormente inciso nella mia formazione giovanile, ma, per completezza, tenderei a dire che questo mio giudizio non è solo personale, ma condiviso con alcuni del gruppo generazionale che si sono formati in questa città nel Movimento Studenti dell’Azione Cattolica, a cominciare da Andrea Bonaccorsi e Simone Guerrini.

Le altre due riviste, per completezza, sono “Il Regno”, a cui attingevamo i documenti del convegno Evangelizzazione e Promozione Umana del 1976, il primo convegno nazionale della Chiesa italiana, che aveva il compito di declinare il Concilio nel nostro contesto, e “Appunti di cultura e politica”, la rivista della Lega Democratica a cui era collegato il circolo pisano intitolato a Jacques Maritain a cui hanno partecipato tra gli altri Bianca Storchi e Giampolo Gorini. Le riviste, che operavano in quella fase con una grande sinfonia e una sostanziale convergenza, rispecchiavano la particolare effervescenza del clima segnato dall’affermazione di Benigno Zaccagnini quale segretario della Democrazia Cristiana, dalla maggioranza politica di solidarietà nazionale di fronte alle gravi emergenze del Paese, in particolare quella economica e quella terroristica, e della fase finale del pontificato montiniano che voleva lasciarsi alle spalle le lacerazioni del referendum sul divorzio in un clima di rinnovato dialogo nella Chiesa e con la società italiana.

“Civiltà Cattolica” era soprattutto la personalità di Padre Sorge che sui vari temi cercava posizioni di equilibrio avanzato rifuggendo però da forme di radicalismo o di minoritarismo, secondo la classica impostazione montiniana e morotea. Per un anno intero utilizzammo come testo di riferimento di un gruppo di studio i suoi testi raccolti nel volume “Capitalismo, scelta di classe, socialismo” che si approcciava in modo estremamente equilibrato ai temi del rapporto tra capitalismo e democrazia. L’economia di mercato creava dei guasti che spettava alla politica affrontare e risolvere, ma la politica non poteva considerarsi onnipotente perché anche i suoi interventi potevano rivelarsi inadeguati e controproducenti, come rivelavano i fallimenti del cosiddetto socialismo reale. Se la scelta di classe significava un interclassismo dinamico teso a ridurre le disuguaglianze essa era positiva, ma nessuna classe poteva essere vista come un soggetto storico-messianico. La politica di solidarietà nazionale era condivisibile ma non perché dovesse bloccare l’alternanza tra forze diverse alla guida del Paese, ma anzi esattamente per l’obiettivo opposto, per rafforzare tra le forze politiche democratiche una base comune necessaria perché il ricambio potesse essere fecondo e non lacerante. In questa chiave del tutto laica andava visto anche il sostegno alla Democrazia Cristiana, in quanto in quel momento essa era portatrice di quella precisa linea politica, rivolta a una “cultura dell’intesa” che riprendeva la collaborazione interrotta troppo precocemente nella primavera del 1947.

Lo stesso può dirsi per l’altro testo, successivo, di padre Sorge, “La ricomposizione dell’area cattolica in Italia”, che cercava di proseguire l’itinerario del Convegno del 1976 evitando i rischi di cortocircuito dell’integralismo e dello spiritualismo.

Più tardi, dagli anni del mio impegno alla Presidenza della Fuci sino ad oggi, Civiltà cattolica è stata ed è anche un luogo fisico di incontri, informali e ufficiali in cui si impara sempre molto. Gli interlocutori di allora erano soprattutto i padri Salvini e Vanzan, quelli di oggi i padri Occhetta e Spadaro, ma lo stile è sempre analogo.

Il con-testo: la rivista di oggi, in particolare sintonia con questo pontificato

Il con-testo in cui leggiamo oggi questa rivista è per certi versi analogo proprio a quel momento storico: la rivista è forse, per evidenti ragioni, quella più sintonica con l’attuale pontificato sia nella riflessione ad intra sia su quella ad extra, così come accadde nel biennio finale del pontificato montiniano.

Se si leggesse attentamente la rivista forse sarebbe più facile anche liberarsi di alcuni stereotipi che per alcuni costituiscono materia di critica e per altri di elogio ma che non sembrano rispondere agli effettivi messaggi del pontificato attuale nel rapporto chiesa-mondo. C’è una sorta di pre-giudizio per il quale il primo pontefice latino-americano, di un continente che ha conosciuto forme particolarmente diffuse di populismo, dovrebbe anch’esso essere letto in questa chiave. Come se le critiche puntuali ad alcune distorsioni dell’economia di mercato si traducessero in visioni semplicistiche, disattente alla complessità dei problemi e alle mediazioni nelle sedi istituzionali. Tranne poi, magari, stupirsi per discorsi quale quello rivolto recentemente, il 24 marzo, ai capi di Stato e di Governo per l’anniversario dei trattati di Roma in cui sono puntualmente ricostruite le intuizioni di De Gasperi, Adenauer e Schuman, discorso del resto in continuità con quello pronunciato per il premio Carlo Magno del 6 maggio 2016 e con quello precedente al Parlamento Europeo del 25 maggio 2014: un trittico di interventi sulla prospettiva di un’Unione federale che risponda in positivo, anche con istituzioni rinnovate, alla sfida dei populismi. Come ha detto puntualmente il 24 marzo:

“L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi. La solidarietà comporta la consapevolezza di essere parte di un solo corpo e nello stesso tempo implica la capacità che ciascun membro ha di “simpatizzare” con l’altro e con il tutto… La solidarietà non è un buon proposito: è caratterizzata da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e guardare oltre”.

Se noi leggiamo sia gli articoli della Rivista relativi all’Italia, sia quelli sui Paesi dell’Unione europea, sia quelli dell’America Latina, pur con la necessaria prudenza che caratterizza un organo comunque “ufficioso”, che tiene conto anche del ruolo di mediazione che la Chiesa talora esercita, non si fa fatica a scorgere giudizi ben soppesati, diffidenze verso impostazioni demagogiche e populiste, inviti a muoversi nella consapevolezza della complessità dei problemi, come avvenuto ad esempio in relazione al tentativo di riforma costituzionale su cui si è votato lo scorso 4 dicembre.

Il numero in questione e il Concilio come punto di svolta

Mi sembra che il saggio di padre Occhetta, come anche la bella relazione di Emma Fattorini alla presentazione romana di questo numero, colgano bene nel segno: la rivista nasce in italiano, anticipando l’unità nazionale, e con intenti di argomentazione razionale che sfuggano a una facile apologetica. Evidente è anche la complessità delle vicende che vanno dalla Costituente ad oggi, spesso non colta appieno al di fuori del mondo cattolico.

E’ evidente la cesura segnata dal Concilio negli orientamenti della rivista.

Dietro l’apparenza di omogeneità del mondo cattolico in quanto in Italia vi era la specificità della sfida comunista che spingeva all’unità politica, i momenti decisivi sono quelli in cui si rivela una notevole articolazione di opinioni.

La rivista nel periodo della Costituente e del centrismo ha riserve di impianto tradizionale sulla linea degasperiana perché si muove in un orizzonte in cui le democrazie liberali sono accettate ancora con molte riserve, mentre il Presidente del Consiglio, proprio perché proviene da un impero pluri-religioso, ha un approccio alla visione dello Stato, della libertà religiosa e del pluralismo politico, che anticipa il Vaticano II e, più esattamente la Dignitatis Humanae (libertà religiosa come scelta positiva e non come necessità da tollerare) e la Gaudium et Spes (democrazia come opzione preferenziale) come ben ricostruito da padre Saale nel volume “Il Vaticano e la Costituzione”. Lo stesso accade nel momento in cui si esaurisce il centrismo e si tratta di scegliere se togliere la pregiudiziale a destra (la linea del cosiddetto partito romano) o perseguire la strada del coinvolgimento del Partito Socialista, secondo l’impostazione morotea.

Dopo il Concilio, invece, accade il contrario: sia col cambiamento di linea favorevole al centro-sinistra storico, sia con la solidarietà nazionale, a cui, invece, l’altra voce ufficiosa, quella di Avvenire sotto la direzione di Angelo Narducci, più vicino alle componenti moderate della Dc, sarà palesemente contraria.

Lo stesso può dirsi per altri due momenti-chiave degli anni ’90.

In primo luogo per i referendum elettorali, che vengano lanciati col congresso della Fuci del marzo 189, col sostegno discreto del direttore Salvini e dei padri Vanzan e De Rosa, mentre allora il cardinale Ruini aveva un giudizio più ottimistico sulla continuità di tenuta del primo sistema dei partiti. Una diversità di valutazione che d’altronde attraversò il partito di maggioranza relativa con le componenti di sinistra della Dc guidate da Nino Andreatta (con cui già collaborava un giovane Enrico Letta) largamente a favore e con quelle moderate ampiamente contrarie, con la rilevante eccezione di Mario Segni. D’altronde come ricorda padre Occhetta la rivista seguì con una certa simpatia, soprattutto informale, la trasformazione del Pci in Pds le cui vicende si intrecciarono con la sfida referendaria. Uno dei momenti chiave della polemica interna tra la maggioranza favorevole alla cosiddetta svolta e la minoranza tradizionalista fu il momento in cui il segretario dell’ancora Pci Achille Occhetto si recò al Comune di Roma esattamente il 18 aprile 1990 con l’argomento che proprio quel giorno segnava la distanza dal 18 aprile 1948: nel senso che la democrazia dell’alternanza era tranquillamente possibile perché tra le forze politiche si era determinato un radicale superamento della frattura della Guerra Fredda sulla collocazione europea ed internazionale. Esattamente la prospettiva per la quale nel biennio 1976-1978 Pietro Scoppola e padre Sorge si erano battuti a favore della solidarietà nazionale in nome della “cultura dell’intesa”.

In secondo luogo nel momento della genesi del bipolarismo italiano quando, come ricorda il direttore Salvini citato nel saggio di padre Occhetta, l’orientamento della Cei sotto la guida del cardinale Ruini ritiene di scegliere come opzione preferenziale il rapporto col centrodestra, mentre Civiltà Cattolica guarda con maggiore vicinanza all’esperienza dell’Ulivo, in raccordo con le personalità che rappresentano la continuità dell’esperienza morotea, da Maria Eletta Martini a Sergio Mattarella. Un pluralismo inevitabile in materie per definizione opinabili.

Tuttavia queste sembrano essere linee di frattura del passato, anche se recente.

La sfida dell’oggi, che la rivista segue con grande competenza, pare però essere, come ricordavo in precedenza col trittico dei discorsi papali, soprattutto quella di una nuova polarità tra favorevoli e contrari a una nuova unità politica europea di tipo federale. Mentre i due poli del secondo sistema dei partiti tenevano fermo l’ancoraggio europeo e, in questo senso, pur nella forte polemica politica, avevano di fatto un punto comune, oggi con la proposta di un referendum sull’Euro esso appare in discussione con un grave pericolo di credibilità per il sistema Paese, quello che la Francia sta affrontando e superando in queste ore, in sintonia con le grandi intuizioni di De Gasperi, Adenauer e Schuman e su cui la Rivista non manca e non mancherà di fornirci riflessioni.

E’ quindi evidente che pur muovendosi a partire da un punto di osservazione ecclesiale e, quindi, non da una logica di schieramento, la rivista ha nell’ultimo cinquantennio un imprinting particolare, quello del cattolicesimo democratico, che tuttavia deve essere sempre ripensato per non ridursi alla ripetizione di formule che altrimenti finirebbero con l’essere vuote.