Un’etica per la digitalizzazione?

Vi proponiamo un intervento di Domingo Sugranyes Bickel, presidente della Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice. Tale organismo ha promosso il convegno internazionale «Alternative costruttive in una fase di sconvolgimenti globali», in programma dal 18 al 20 maggio nell’aula nuova del Sinodo, in Vaticano. Nel corso dei lavori saranno affrontati, tra gli altri, i temi dell’occupazione e della dignità dell’individuo nell’era digitale.

La sfida che devono affrontare organizzazioni e professionisti è di vedere il cambiamento digitale come un’opportunità per adattarsi, imparare e progredire. Le aziende devono prendere decisioni d’investimento rischiose in un mondo di informazioni a basso costo e ad alto volume di diffusione. In questo ambiente rivoluzionario, in cui l’informazione è il nuovo petrolio dell’economia, i ruoli dei consumatori e dei produttori si confondono e i modelli di lavoro tradizionali sono profondamente modificati.
I risultati tecnologici sono ambivalenti: per esempio, l’intelligenza artificiale applicata al progresso medico non impedisce migliaia di morti ogni giorno a causa di malattie curabili. Ma, l’inclusione contro il “grande divario” può essere fattibile proprio grazie alla tecnologia digitale, per esempio attraverso la disponibilità di telefoni cellulari o alla possibilità dell’educazione a distanza. E tuttavia, nel nostro mondo quattro miliardi di persone continuano a non avere accesso a internet.
Da due secoli, ci sono ricorrenti allarmi lavoro nell’economia di mercato. Attualmente, la minaccia di robot e computer che divorano l’uomo appare più seria rispetto ai precedenti cicli storici, poiché negli ultimi anni l’occupazione è rimasta indietro rispetto alla crescita e i salari sono rimasti fermi rispetto agli altri fattori di produzione. Il crollo ha riguardato principalmente i lavori semplici in ambito manifatturiero, impiegatizio e amministrativo, mentre i settori più alti e più bassi dell’occupazione sono stati meno colpiti.
Tuttavia, la stragrande maggioranza dei lavori oggi esistenti erano inimmaginabili solo settant’anni fa: più che nel fatto che alcuni lavori scompaiono e altri nascono, i veri problemi stanno forse negli ostacoli educativi e istituzionali ai cambiamenti. La digitalizzazione corre veloce, ma i risultati sono ancora difficili da prevedere e non offrono un modello chiaro per una formazione professionale specifica.
L’innovazione tecnologica crea anche nuovi scenari di concorrenza, dove alcune posizioni oligopolistiche poggiano, per un periodo di tempo limitato, su un vantaggio tecnologico provvisoriamente esclusivo, piuttosto che sulla dimensione o la fetta di mercato. Una segmentazione capillare dei consumatori può ostacolare la formazione di un prezzo di mercato determinato dalla domanda e dall’offerta.
I dati forniti dai consumatori, unitamente a quelli delle transazioni rilevate dalle banche e alle informazioni a disposizione del pubblico sono trattati e analizzati per conoscere e prevedere i comportamenti. Sebbene per legge i big data siano resi anonimi, le possibilità di analisi incrociata stanno spostando i confini del concetto di dati personali.
Sorge dunque la domanda se la battaglia per la riservatezza non sia già persa in partenza. Le leggi si stanno rapidamente adeguando, per esempio nell’Unione europea, non per controllare la tecnologia, ma per tutelare i consumatori e assicurare che i principi sviluppati nel quadro dell’economia di mercato possano essere mantenuti e applicati nel nuovo contesto tecnologico.
I valori coltivati e applicati in famiglia o in comunità vengono spesso dimenticati quando le stesse persone sono dietro alla loro scrivania in un’azienda. Questo fatto non scompare con la digitalizzazione, anzi: l’imperativo tecnologico — tutto ciò che è tecnicamente possibile è considerato legittimo — può prevalere e perfino rendere più difficile unificare valori morali, comportamento e incentivi.
Potrebbe essere ancora troppo presto per trarre conclusioni e giudizi basati sul pensiero sociale cattolico. Le domande, però, rientrano perfettamente nel campo d’interesse della Chiesa: ogni questione etica collegata alla digitalizzazione conduce inevitabilmente a temi di cultura e di comunicazione, facendo eco alle domande sulla persona, la comunità e i presupposti morali. C’è ampio spazio per nuove ricerche etiche, e avere gruppi e comunità ecclesiali che dedicano i propri sforzi a riflettere su questi problemi è una necessità.
La cultura dell’incontro, espressione spesso usata da Papa Francesco, esige abitudini che favoriscano il buon uso delle risorse tecnologiche, come anche la cura delle relazioni umane. Contro le prevalenti versioni utilitaristiche, positivistiche o emotive dell’etica, il pensiero sociale cattolico tradizionalmente porta l’attenzione su teorie oggettive radicate nella possibilità di discernere il bene dal male.
Per quanto riguarda le nuove prospettive per l’occupazione e il lavoro «conviene ricordare sempre che l’essere umano è “capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale” (…). Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che “si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro (…) per tutti”» (Laudato si’, 127).
Esiste il rischio di un vuoto morale ogni qualvolta le decisioni sono prese da macchine e da algoritmi auto-educanti: in assenza di un agente morale non c’è responsabilità umana e ciò porta in un terreno inesplorato della storia umana. Di fronte a questa radicale incertezza, il dialogo fa emergere alcune vie di ricerca: se l’informazione è la principale risorsa dell’economia e ha un valore monetario misurabile, allora i dati devono essere trattati con la stessa attenzione e secondo gli stessi principi del denaro per conto terzi. Così come esiste un codice etico universale per trattare beni, servizi e denaro, ne dovrebbe esistere uno per i dati.
La rivoluzione digitale, insieme ad altri fattori di cambiamento, esige che l’attenzione venga spostata dalla tutela dei posti di lavoro alla tutela dei lavoratori, con benefit sociali flessibili e le possibilità di formazione in un mondo mutevole.
Occorre una revisione radicale dell’educazione, distaccandosi dal programma di studi secondari/universitari universale per andare verso alternative più flessibili che favoriscano l’apprendimento durante tutta la vita, l’impiegabilità e la capacità di giudizio morale.
La regolamentazione è troppo lenta per mantenersi al passo con l’innovazione, dunque la società e l’economia devono promuovere una riflessione culturale aziendale per gestire l’utilizzo dei dati.
Occorre prestare maggiore attenzione alla parte della domanda di tali processi: che cosa vogliono i consumatori? Le loro vere priorità possono essere espresse e tenute in considerazione? Quali responsabilità dovrebbero esercitare? La Chiesa ha un ruolo importante nell’educare la scelta del consumatore.
Questi orientamenti richiedono nuove vie di cooperazione tra il settore pubblico e gli agenti privati per mitigare i rischi relativi all’occupazione e incentivare una leadership responsabile nell’economia digitale. Riguardo al futuro del lavoro, è necessario che venga riavviato un dialogo di fondo tra datori di lavoro e organizzazioni dei lavoratori. C’è bisogno di luoghi d’incontro che creino fiducia. Potrebbe una piattaforma basata sul pensiero sociale cattolico essere uno di questi luoghi d’incontro?

(L’Osservatore Romano, 17-18 maggio 2017)