Reti comunitarie

Vi proponiamo un intervento di don Bruno Bignami, prete cremonese, presidente della Fondazione  don Primo Mazzolari e, da qualche tempo, direttore dell’Ufficio problemi sociali e del lavoro della Conferenza Episcopale Italiana, che parteciperà alla prossima veglia diocesana per il lavoro (30 aprile 2021).

«Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie»: l’affermazione di papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (n. 129) permette di intuire efficacemente il suo messaggio sociale. L’analisi dell’attuale papato sarebbe fuorviante se si limitasse a vivisezionare i suoi testi o le sue omelie. È molto più fecondo, invece, guardare ai suoi gesti, che spesso hanno il sapore della profezia. Anzi, potremmo considerare le esortazioni apostoliche e le encicliche di Francesco come dei veri e propri gesti collocati nella vita della Chiesa.

La risorsa delle “reti comunitarie”

La convinzione che siano le reti comunitarie a fare da antivirus ai mali sociali del nostro tempo ha portato Bergoglio a guardare con predilezione alle esperienze innovative dal punto di vista sociale. Non a quelle stampate sulle prime pagine dei giornali o capaci di farsi pubblicità via tv o via web. Ha inteso dare visibilità invece al mondo dei poveri, degli emarginati, degli scarti umani nelle società opulente. Si comprende così la scelta di dedicare alcuni suoi incontri speciali ai rappresentanti dei movimenti popolari. Si tratta di un mondo numeroso, variegato ma appartenente all’underground delle metropoli o alle periferie delle città. Gente out, ritenuta di serie B, ignorata dalle borse mondiali e tuttavia capace di un’economia sommersa.

Francesco non si è tirato indietro. Ha voluto accompagnare il loro faticoso cammino nelle aree interne delle città e dei territori. Ne ha ascoltato le istanze e li ha benedetti come «poeti sociali» per la loro creatività, pur essendo scartati dal mercato mondiale. Si tratta dei contadini brasiliani «Sem Terra», di operai di fabbriche occupate e imprese recuperate ad alcuni centri sociali, dei «cartoneros» argentini, di piccoli artigiani, dei comitati di madri delle mense popolari, di gruppi che si mobilitano per il diritto all’acqua, di gente che difende l’ambiente, delle comunità di nativi asiatici, latinoamericani o africani, di chi vuole tutelare il lavoro minorile, dei venditori ambulanti, di contadini dediti all’agricoltura familiare, dei membri di cooperative…

Sono movimenti che riescono a creare lavoro dove sembrano prevalere gli «scarti dell’economia idolatrica». Proprio la loro creatività ha permesso di organizzarsi e di non sentirsi emarginati. Alle risposte transitorie oppongono la dignità del lavoro, la solidarietà tenace del loro impegno. A dimostrazione che i poveri, anche in contesti di depressione economica o di schiavitù sociale, sanno progettare reti relazionali capaci di offrire speranza.

Dai segni del potere al potere dei segni

La scelta ecclesiale di stare loro accanto fa capire quanto siano fondamentali queste reti comunitarie, luoghi di condivisione che arginano lo sterile dramma dell’individualismo e permettono a persone o famiglie di «salvarsi». La ricerca di luoghi-segno è certamente una costante nel magistero sociale di Francesco. È difficile comprenderne tutta la portata al di fuori di questa prospettiva. Non è fuori luogo ricorrere alla celebre frase di don Tonino Bello per esprimere questa particolarità del messaggio pontificio: è il passaggio dai segni del potere al potere dei segni.

Francesco sembra studiare con senso profetico ogni gesto, rimandando alla forza delle opere di Cristo. Si pensi al primo viaggio italiano a Lampedusa (8 luglio 2013), incentrato sul valore delle lacrime e sul pericolo della globalizzazione dell’indifferenza. Si guardi alle visite-lampo sulle tombe di preti sociali, capaci di incarnare un cristianesimo dell’impegno e della testimonianza: don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, don Tonino Bello, don Peppino Puglisi, don Zeno Saltini… Si considerino i viaggi in luoghi feriti e martoriati dal terremoto come Amatrice o Camerino, oppure in città simbolo di tragedie di guerra come Redipuglia, Auschwitz o, più recentemente, Hiroshima e Nagasaki.

Si osservi l’idea di condividere con i giovani provenienti dalle varie parti del mondo il progetto di un’economia alternativa a quella consumistica nell’evento Economy of Francesco (19-21 novembre 2020). Si veda la scelta di inaugurare la Giornata mondiale dei poveri, con l’intento non soltanto di aiutare le persone più in difficoltà, ma di ridare dignità di soggetto all’ultimo nella vita ecclesiale e nella società. Sono solo alcuni gesti tra i molti disseminati in questo pontificato: la scelta è di far parlare il Vangelo dentro agli incontri e dentro alla storia. La strategia è legata alla riflessione conciliare di Dei Verbum 2, secondo la quale l’«economia della Rivelazione comprende eventi e parole (gestis verbisque) intimamente connessi». In gergo da strada: una Chiesa che predica bene ma razzola male non è credibile!

La predicazione non basta

Il tentativo di Francesco è così insistente da far passare il messaggio nel vissuto ecclesiale: non ci si può accontentare che l’evangelizzazione viaggi sull’unica rotaia della parola. La predicazione non basta. Occorre costruire il binario dell’annuncio e della testimonianza. Il magistero sociale di Francesco è così declinato e proposto. A tal punto che potremmo vedere i suoi testi e le sue parole come un ennesimo gesto di cura e di accompagnamento pastorale. L’enciclica sociale Laudato si’, oltre a diventare un forte invito a prendere sul serio la crisi ambientale odierna come crisi insieme morale, antropologica e sociale, è un gesto all’intera umanità per scrivere pagine nuove di cura per il creato.

Con l’enciclica, il Papa ha aperto un processo di approfondimento di ciò che comporta il prendersi cura nel momento storico attuale. Il recente sinodo Amazzonico ha mostrato, ad esempio, che le categorie di conversione ecologica, integrale e culturale non sono sufficienti se non vengono ampliate anche come conversione pastorale e sinodale. Insomma, se si intende riflettere sul rapporto con il creato, si è costretti a rivedere inevitabilmente la struttura stessa della comunità cristiana e la sua qualità relazionale a livello di ministeri, di servizi e di riconoscimento delle persone e delle loro specifiche vocazioni.

L’ambizione cristiana: porsi al servizio del mondo

Perciò, alla luce di ciò che è successo in questi anni di pontificato, risulta chiara la traiettoria di Francesco descritta in Evangelii gaudium 17: «Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri». Nell’esortazione apostolica che fa da manifesto programmatico è espressa la dimensione sociale della vita cristiana. L’evangelizzazione non può trascurare il contesto sociale in cui si colloca. Soprattutto non può evitare di coinvolgere l’uomo nelle sue diverse dimensioni che lo costituiscono. A tal punto che il cristianesimo diventa forza propulsiva nella storia, in grado di costruire un mondo migliore.

Infatti, «il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo» (EG 183). L’ambizione cristiana non è quella di conquistare il mondo ma di porsi al suo servizio. Per farlo, la Chiesa si mette in ascolto dei problemi e vive in mezzo agli uomini e alle donne, sentendosi partecipe delle loro gioie e delle loro sofferenze (GS 1). In tal modo, il grido del povero assume un valore unico. E’ Cristo stesso che grida in lui. La Chiesa lo sa riconoscere tra le molteplici voci e lo prende sul serio: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società» (EG 187).

L’immagine della Chiesa come «ospedale da campo» appare una sintesi mirabile di questo progetto. Come disse papa Francesco in una lunga intervista concessa nel 2013 a padre Antonio Spadaro, direttore de’ La Civiltà Cattolica: «È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto». La Chiesa è chiamata a far scorrere il vangelo nelle vene della storia. Mentre vive la testimonianza di Cristo in prima persona, essa promuove un cambiamento di liberazione sociale a partire dagli ultimi. Così il messaggio di Cristo si fa strada. Diviene vita…