Più forti dell’odio

Andare verso l’altro e andare verso Dio è una cosa sola:
non posso farne a meno e richiede la stessa gratuità.*

 

Nella notte fra il 26 e il 27 marzo 1996, un commando armato entra nel monastero di Tibhirine (Algeria) e prende in ostaggio sette dei nove monaci trappisti presenti. I terroristi portano via frère Christian de Chergè, 59 anni il priore;  frère Luc Dochier, 82 anni, il medico, in Algeria dal 1947; frère Christophe Lebreton, 45 anni; frère Bruno Lemarchand, 66 anni; frère Michel Fleury, 52 anni; frère Célestin Ringeard, 62 anni; frère Paul Favre-Miville, 57 anni. Il 18 aprile un comunicato dei rapitori spiega che i monaci sono stati presi in ostaggio perché “non si sono separati dal mondo. Al contrario, vivono con la gente e la allontanano dal cammino divino incitandola a evangelizzarsi”. Il comunicato successivo, datato 21 maggio, annuncia: “Abbiamo tagliato la gola ai sette monaci”. I corpi verranno ritrovati il successivo 30 maggio.

Lo scorso 27 gennaio Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante il loro martirio. Assieme al loro, viene riconosciuto il martirio di mons. Pierre Claverie, domenicano vescovo di Oran, e di altri 11 religiosi e religiose “uccisi in odio alla fede in Algeria dal 1994 al 1996”.

In memoria di questi martiri, vi proponiamo il testamento spirituale di frère Christian de Chergè, priore della comunità di Tibhirine

 

Quando si profila un ad-Dio

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la «grazia del martirio», il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa; sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: «Dica adesso quel che ne pensa!». Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!

E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!  Insc’Allah

Algeri, 1 dicembre 1993
Tibhirine, 1 gennaio 1994

 

 


* (tratto da “Più forti dell’odio“, ed. Qiqajon)