«Non posso lasciarli soli, vado con loro»

Il riconoscimento del martirio del venerabile Teresio Olivelli, ratificato dal Papa con decreto del 16 giugno 2017, ha accelerato i tempi della beatificazione, che si terrà il 3 febbraio prossimo a Vigevano.

Monsignor Paolo Rizzi, postulatore della causa di beatificazione, redattore della Positio super virtutibus e della Nova positio super martyrio, autore di una Via crucis con Teresio Olivelli, nel libro “Non posso lasciarli soli, vado con loro. Il martirio del beato Teresio Olivelli” (Torino, Effatà Editrice), ne illustra i tratti essenziali della biografia e della spiritualità.

Figura estrema per coraggio, senso di abnegazione, carità, testimoniati fino al dono della vita, Olivelli, in un tempo di violenza e ferocia, riesce a farsi prossimo dei più bisognosi, meritando la denominazione di “samaritano dei deboli”.

Nato a Bellagio nel 1916, presto si trasferisce nella diocesi di Vigevano. Si laurea giovanissimo in giurisprudenza e partecipa attivamente alla Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana.

Nel 1941 decide di arruolarsi fra gli alpini come volontario nella campagna di Russia.

La sua frase «non posso lasciarli soli, vado con loro», divenuta titolo del libro, esprime inequivocabilmente il suo intimo anelito a condividere la sorte di coloro ai quali non era consentito di scegliere: «desidero fondermi nella massa, in solidarietà col popolo che senza averlo deciso combatte e soffre». Olivelli segue alla lettera il Vangelo, accettando in ogni situazione di farsi carico della sofferenza altrui. Molte testimonianze attestano questo costante senso di rinuncia a se stesso: «Giorno e notte lo si vedeva andare in giro alla ricerca di coloro che fossero stati feriti (…) tutto faceva con grande spirito di abnegazione, mettendo a repentaglio la propria vita». In particolare durante la drammatica ritirata, mentre tutti fuggono, si ferma per soccorrere quanti cadevano stremati: «in guerra non fu eroe delle battaglie, ma della carità».

Lo stesso atteggiamento caratterizzerà la sua intensa partecipazione alla Resistenza cattolica, della quale Olivelli, nel territorio lombardo, divenne uno dei principali protagonisti. Come scrive sul giornale clandestino «Il Ribelle», da lui stesso fondato: «Siamo contro una cultura fratricida (…) Lottiamo per una più vasta e fraterna solidarietà degli spiriti». Serrata opposizione quindi all’ideologia nazifascista che fomentava odio e violenza, una «rivolta morale» paragonabile «alla ribellione interiore dei giovani tedeschi della Rosa bianca».

La sua determinazione a lottare per la liberazione dal regime totalitario gli impedisce però di schierarsi nelle fila della lotta armata. Durante tutto il periodo della clandestinità si contraddistingue per una scelta «a-militarista e a-bellica», promuove quella «rivolta dello Spirito» che cerca di risvegliare le coscienze attraverso le «armi del Vangelo». Uno sforzo costante teso a testimoniare pietà, compassione, amore, fraternità, al fine di far crescere spiragli di umanità dove imperversava la più cieca disumanizzazione: «Per quanto possa sembrare assurdo parlare di amore in un mondo in cui l’uomo era nemico all’uomo, in un momento in cui si era costretti a lottare per vivere, l’amore fu vivo e sentito».

Invece di rifugiarsi sulle montagne sceglie di restare nascosto in città, inseredendosi nell’ambiente cattolico milanese e bresciano, cercando in ogni modo di aiutare tutti ad agire con prudenza, evitando pericolose rappresaglie. Si prodigò comunque con ogni mezzo per sostenere spiritualmente i giovani partigiani impegnati nella lotta armata, spinto dall’urgenza di proteggerli dall’odio e dal sentimento di vendetta.

Cercava di placarne gli animi affinché combattessero «per amore non per odio», per la liberazione dall’oppressore, non per l’annientamento dei nemici. Una contraddizione di cui solo la croce di Cristo può farsi carico. La croce assume la contraddizione, ci sta in mezzo divenendo forza di mediazione che purifica e scioglie. Porta alla ribalta del mondo tutta l’ingiustizia che si incide in destini e li forgia nella ferrea catena della causa effetto che poi si sprigiona in forza devastante. Gesù patisce il mondo, soffre il dolore che il mondo genera, ma che non ha la capacità di soffrire. Riconosce i carnefici, ma vedendo la cecità dei loro occhi e del loro cuore, ne assume la carica distruttiva spezzando le catene della violenza e dell’odio. Ugualmente coloro che, come Olivelli, si offrono per libera scelta di amore.

In una notte insonne scrive la Preghiera dei ribelli per amore, «cardine della sua struttura spirituale e morale», per i ragazzi che combattevano sulle montagne: «Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione (…) a noi, oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libera vita, dà la forza della ribellione». La ribellione purificata dall’odio, aiuta a guardare in un’altra luce i nemici, a scorgerne il cuore inaridito e come morto, ad averne pietà. Dove è violenza, sopraffazione, abuso di potere, c’è vuoto d’amore.

È per la forza di questa testimonianza che il «famigerato Olivelli», ritenuto totalmente avverso al regime nazifascista, viene arrestato a Milano il 27 aprile 1944, recluso nel carcere di San Vittore, poi deportato nei lager di Bolzano, Flossenbürg, Hersbruck.

Nessuna forma di coercizione sarà in grado però di spengere in lui l’ardore della fede che confesserà usque ad effusionem sanguinis. A tutti offre parole di sostegno e di speranza, si attiva per soccorrere quanti si lasciano andare alla disperazione, rinuncia alla propria razione di cibo, accompagna spiritualmente i moribondi, usa benevolenza anche verso i persecutori.

La sua preghiera autentica coinvolge, aiuta gli altri a pregare, «è l’angelo del campo che offre la propria vita per il bene di tutti». Si interpone a difesa dei più deboli prendendo lui le percosse destinate ad altri, come il 31 dicembre 1944, quando, nell’estremo gesto di difesa di una vittima innocente, fa da scudo con il proprio corpo, ridotto a scheletro e ricoperto di piaghe, al calcio letale di un kapò che lo colpisce al ventre facendolo cadere a terra svenuto. Morirà il 17 gennaio 1945.

La salvezza evangelica passa dall’umanità smascherando la storia e l’occulto potere dello spirito di distruzione. Teresio testimonia al massimo grado come la grazia penetri e operi anche negli inferni, nei luoghi dove estrema è l’aberrazione, lasciando segni visibili, scie luminose dentro le tenebre più fitte.

Quanto narrano di lui i testimoni oculari fa percepire quella distanza incolmabile che, come davanti a Gesù, avvicina, strappandoci da noi stessi. Quando qualcosa vacilla e ci dà la vertigine, allora ci spostiamo, ma come riuscire a muoversi prima che il prezzo sia troppo grande?

Figure come Olivelli divengono specchio per la coscienza, scuotono, risvegliano alla verità che è vertiginosa se guardata nella nudità. Ognuno sa cosa dovrebbe fare e che invece continua a non fare. Il totalitarismo del pensiero unico che anestetizza non è paragonabile al totalitarismo che annienta ogni forma di vita. È assolutamente necessario risvegliarsi dal torpore per ritrovare dignità e umanità. Tornare all’interiorità, distaccarci dal turbine esterno dal quale spesso ci lasciamo schiavizzare.

Lo Spirito santo genera in noi l’inquietudine di chi vede e sa, ma che pur vedendo raramente si lascia pervadere da quella pietà che diviene azione salvifica. È urgente invece valorizzare e mettere bene a frutto questo tempo di pace di cui godiamo e questa libertà, a volte disprezzata e data troppo spesso per scontata, ma che in realtà è costata il sangue di tante nobili vite. La memoria non ha valore se non si fa memoriale, se non si riattiva nel presente rendendoci responsabili.

(da L’Osservatore Romano, 1 febbraio 2018)